Malasanità: tutela della collettività e diritto alla privacy
La sentenza della Corte di Cassazione n. 11994/17, depositata il 16 maggio, mette in luce un argomento complesso che si fonda sulla controversia tra diritto alla privacy del paziente e tutela della collettività.
Quando il dovere degli operatori sanitari di preservare la privacy dei propri pazienti deve venir meno in funzione di tutela di terzi?
Gestione della privacy e della dignità del paziente: il caso.
Il soggetto di questo caso è l’ormai defunto marito di una donna malata di HCV. Prima del decesso la donna era stata sottoposta a intensi cicli di cura e interventi di dialisi presso la struttura ospedaliera dell’ASL n. 5 di Crotone. In questa sede, a causa di trasfusioni infette, la paziente è deceduta in breve tempo. Il marito della donna ha deciso dunque di citare in giudizio l’Azienda Sanitaria Provinciale di Crotone: l’uomo ha contestato ai sanitari di esser stato tenuto all’oscuro in merito alla patologia della moglie impedendogli, in questo modo, di prendere le precauzioni necessarie ad evitare il contagio.
La Corte d’appello di Catanzaro ha condannato in primo grado l’Azienda Sanitaria a risarcire il malcapitato dei danni subiti per questa negligenza.
Il ricorso dell’Azienda Sanitaria
L’Azienda Sanitaria di Crotone però non ha accettato la sentenza e ha proceduto con un ricorso alla Cassazione contro gli eredi dell’uomo, ormai deceduto all’epoca del ricorso, e contro la sua compagnia di assicurazione.
La ricorrente ha giustificato il proprio operato basandosi sul sistema delle norme della legge sulla privacy e sul Codice Deontologico Medico del 1998. In base a questi, i sanitari potrebbero venir meno al diritto alla privacy del paziente solo in situazioni in cui il paziente sia incapace di intendere e di volere mentre, qualora il paziente sia capace di intendere e di volere e, conseguentemente, di proteggere autonomamente la salute dei propri congiunti, sarebbe valido per gli operatori ancora l’obbligo di riservatezza.
Bilanciamento tra diritto alla riservatezza del paziente e tutela della salute dei terzi o della collettività
La Cassazione ha respinto il ricorso, giustificando il proprio agire attraverso l’art. 23 l. n. 675/1996: in presenza di una originaria autorizzazione dell’interessato a informare circa la vicenda curativa i suoi familiari, i sanitari non solo devono ritenersi autorizzati a rivelare i dati a questi ultimi, bensì sono obbligati a farlo. In caso questi non informino i familiari del rischio che corrono per la loro salute, la legge considera tale atteggiamento dei sanitari da condannare e quindi conferma la sentenza di risarcimento danni per malasanità imposta dal Tribunale di Catanzaro.
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